Saturday, Jun 4, 2022 • 13min

Ep.20 - La rabbia nelle gambe di Pietro Mennea

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Al Sud negli anni ‘70 non esistevano piste di atletica, così il ragazzo si allenava su uno stradone di Barletta sfidando le macchine degli amici. La prima volta che sul traguardo il suo petto passò prima delle ruote, vinse la scommessa con i suoi due amici e con quelle 500 lire se ne andò al cinema. Anni dopo, quel ragazzo di Barletta chiamato Pietro Mennea fece il primato sui 200 metri. Non festeggiò, non alzò le braccia al cielo. Prese un microfono e disse: “Un ragazzo del Sud, senza una pista d’atletica a casa sua, ha battuto il record del mondo”.
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Talking about
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Speakers
(2)
Angelo Carotenuto
Pietro Mennea
Transcript
Verified
Angelo Carotenuto
00:13
I disoccupati in
Puglia
erano duecentomila, nelle casse della Regione c'erano tre miliardi di lire a disposizione per il turismo, per la realizzazione di venti campeggi, quindici lungo la fascia costiera e cinque nelle zone collinari, ma la politica non riusciva a spenderli. Il
Ministero dei trasporti
aveva assegnato pure trecento trentadue miliardi per il settore delle ferrovie dopo l'elettrificazione della linea Bari-Taranto, i mezzi erano vecchi di quarant'anni.
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00:49
I giornali raccontavano la mappa della sete, trenta comuni su sessantadue in
provincia di Foggia
senza acqua potabile per buona parte del giorno. La
Montedison
licenziava Brindisi, le aziende tessili facevano lo stesso a
Bitonto
, la Federbraccianti denunciava minacce e uso delle armi da parte del caporalato sul mercato delle braccia nelle campagne.
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01:17
E in quell'estate del mille novecento ottanta duecento coltivatori a
Barletta
avevano preferito distruggere l'uva in una specie di rabbiosa vendemmia, calpestando centoquaranta quintali, prima che partissero a bordo di decine di convogli verso i paesi della Comunità europea.
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01:38
Avevano deciso di mandarla in rovina l'uva anziché essere costretti dalla crisi a svenderla, a spedirla all'estero sottocosto. Il prezzo era precipitato nel giro di un giorno da dodicimila a settemila lire al chilo.
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01:56
Ma da
Barletta
, da
Barletta
era partito un prodotto doc senza che nessuno potesse distruggerlo o fermarlo. Un tipo che ormai aveva ventotto anni, esile, ossuto, senza muscoli, un brontolone che correva più veloce degli americani, più veloce di tutti.
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02:18
Alzava un ditino e sbuffava sul traguardo quando vinceva, e quell'estate andò a finire così.
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02:30
Recupera, recupera, ha vinto, straordinaria impresa di Mennea!
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Angelo Carotenuto
02:44
Io sono Angelo Carotenuto, ogni mattina curo la newsletter Lo slalom e questo è Rimbalzi, un podcast prodotto da Chora Media.
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02:59
La voce che avete sentito è di
Paolo Rosi
nella telecronaca della finale dei duecento metri alle Olimpiadi di
Mosca
mille novecento ottanta. Quella gara Mennea nemmeno voleva correrla, qualche giorno prima aveva incassato la più cocente delle delusioni, l'eliminazione in semifinale nei cento metri. I giornali lo avevano criticato.
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03:23
Era il Campione europeo in carica e invece si scioglieva così, in un'edizione dei Giochi senza americani, un'occasione sprecata. Mennea prese in disparte il suo allenatore e disse: "Non corro, non corro, non corro; se ho perso così nei cento nei duecento perderò due volte".
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03:47
Carlo Vittori si chiamava, un marchigiano. Anche la moglie Nadia lo chiamava "il professore" e quando lo vedeva più irsuto del solito gli diceva che Mennea allora se lo meritava. Fu uno straordinario incontro tra due caratteri complessi, un padre un po' padrone e un figlio un po' testardo, due genialità, molti silenzi.
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04:13
Vittori aveva studiato la razionalizzazione dei passi in successione nel mezzofondo, fino a portare
Marcello Fiasconaro
al record del mondo sugli ottocento metri, ma è un incontentabile. Solo che era un incontentabile pure Mennea, partito da certe improbabili gare nel cortile dell'istituto Michele Cassandro di ragioneria, dove andavano più veloci di lui due ragazzini, Salvatore Pallamolla e Domenico Gambatesa.
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04:45
E ora voi ve li dovete immaginare tutte le volte che hanno raccontato al bar di aver battuto Mennea, immaginarsi la faccia degli altri, gli occhi al cielo e l'aria di chi vorrebbe rispondere: "Sì vabbè, Mennea".
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05:01
Eppure con quelle sconfitte Pietro diventò Mennea, su uno stradone di
Barletta
si allenava sfidando gli amici anzi, le macchine degli amici: una Porsche arancione e una Alfa Romeo rossa. Gare di quaranta metri al massimo cinquanta, dove andava più forte dei motori. La prima volta che sul traguardo il suo petto passò prima delle ruote, sfilò a quei due poveri increduli cinquecento lire per scommessa e se ne andò al cinema.
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05:35
Aveva vinto da sedicenne i campionati interregionali studenteschi di Matera e un altro appuntamento a
Termoli
, corso poco dopo aver visto in televisione la finale dei duecento metri delle Olimpiadi di Città Del Messico mille novecento sessantotto.
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05:51
La gara vinta da
Tommie Smith
, il velocista del pugno alzato sul podio durante la premiazione. Su quella pista, undici anni dopo, il record del mondo lo avrebbe battuto lui: diciannove secondi e settantadue, come la data della sua medaglia di bronzo a Monaco. Un altro avrebbe festeggiato, lui dalla Germania tornò in
Italia
deluso.
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06:24
Vittori aveva iniziato a prendersi cura di lui dopo l'esordio in Nazionale a
Lugano
e una squalifica per tre false partenze. Non c'era niente che mandasse Vittori più in bestia di un velocista che si muove in anticipo sui blocchi di partenza. Vittori lo allenava a
Formia
con un gigantesco elastico teso legato all'altezza dei reni.
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06:49
Mennea veniva lanciato per trenta o quaranta metri, sentiva le gambe scappare via e dovette imparare a farle andare a un numero di giri superiore, alla stessa velocità dei suoi pensieri, tanti, troppi, spesso pesanti. Una costante riflessione su di sé e il suo mondo, la famiglia, il paese, la società.
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07:18
I giornali dell'epoca tiravano spesso fuori l'immagine del tunnel, il tunnel di Mennea, da solo ci entrava, da solo vi usciva. Quando fece il primato sui duecento metri, nel mille novecento settantanove, la diretta tv non c'era. Sollevò le mani da terra, staccò i piedi dai blocchi, mangiò con le scarpe il tartan della corsia numero quattro, fece i primi cento metri in dieci e trentaquattro, quelli successivi lanciato in nove e trentotto.
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07:53
Aveva una maglia con il numero trecento quattordici e in bocca il solito sapore della povertà. Quella volta non alzò le braccia, non puntò il dito contro il cielo, non sorrise, prese un microfono e disse: "Un ragazzo del sud senza una pista di atletica a casa sua ha battuto il record del mondo".
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08:19
Quale considera il più importante di questi traguardi?
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Pietro Mennea
08:21
Far trovare un posto di lavoro a mio padre.
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Angelo Carotenuto
08:23
Mennea che lavoro fa suo padre?
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Pietro Mennea
08:25
Mio padre fa l'usciere all'ospedale civile di
Barletta
.
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Angelo Carotenuto
08:32
Una volta in America lo presentarono a Mohammed Ali come l'uomo più veloce del mondo. Ali lo squadrò stupito e disse: "Ma tu sei bianco". Mennea aveva la risposta pronta: "Sì ma sono nero dentro", perché si nutriva della sua rabbia, delle sue ripicche, spigoloso, isolato, isolato e libero.
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08:56
Corse contro il pregiudizio che voleva pigri e indolenti i ragazzi del Sud. Corse contro le teorie di
Gianni Brera
, che lo chiamava brutto scorfano e fratello in povertà, convinto che la mancanza atavica di proteine e carboidrati non potesse fare di Mennea un campione all'altezza delle fibre muscolari degli afroamericani.
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09:21
Mennea aveva una misteriosa disarmonia di seta, correva per consolare i diseredati di ogni Sud, correva per fargli sapere che si poteva essere feroci, si poteva essere primi anche senza essere belli. Livio Berruti aveva vinto l'Oro ai Giochi di
Roma
del mille novecento sessanta con l'eleganza, con la leggerezza di una vita che poteva uscire da una curva sentendo volare sulla sua testa una colomba.
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09:54
Berruti aveva avversari, Mennea aveva bisogno di nemici. Suo padre veniva da una famiglia di undici figli, due sorelle si erano fatte suore. I primi calzoncini per correre glieli aveva cuciti lui. Mennea raccontava di aver avuto tre anni quando sua madre lo mandò a comprare un bottiglione di varechina che si aprì lungo il tragitto. I segni che ancora portava da adulto sulle mani dovevano ricordargli da dove era partito. Tutta questa rabbia sarebbe stata solo veleno se Mennea non l'avesse trasformata in determinazione.
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10:37
Tornava a casa a
Barletta
solo tre volte all'anno, era un recluso a
Formia
. Si ammazzava di lavoro mattina e pomeriggio, anche otto ore, anche nove e la sera si abbuffava. Abitava in un albergo che ospitava ricevimenti nuziali, quello che avanzava era suo.
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10:58
Non ha mai avuto uno strappo muscolare in venti anni di attività, battè il record del mondo e non gli diedero un soldo. Ai Giochi di
Mosca
guadagnò otto milioni per l'oro, si comprò sei poltrone, ha preso due lauree, ha fatto l'avvocato, ha fatto l'europarlamentare, ha scritto libri.
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11:23
Pochi giorni prima dell'oro olimpico di Mennea, Paride Orfei e un equilibrista del suo circo si presentarono dai carabinieri di
Gioia Del Colle
, quaranta chilometri da
Bari
, denunciando un incontro con un ufo.
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11:38
Mostrarono le tracce che quello aveva lasciato sul loro corpo, un'ustione sul polso per uno, due bruciature ai lati dell'ombelico per l'altro. Dissero che i marziani si erano presentati dietro il tendone e gli elefanti avevano barrito. Un marziano, la
Puglia
, ce l'aveva in casa, non sempre lo capirono.
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12:08
Quando Pietro tornò per la prima volta con la medaglia d'oro nella sua città per inaugurare la nuova pista, non solo non ci fu il tutto esaurito ma dallo stadio dove si allenava, qualche pomeriggio prima, lo mandarono via perché c'era il concerto dei Pooh, e i Pooh dovevano provare.
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12:30
Un giorno Mennea ha detto: "Non ci sarà più un record come il mio, non in
Italia
, non perché non possano nascere campioni, ma perché la società rifiuta tutto quello che io ho rappresentato".
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12:44
"Ho sofferto" disse, "ma ho sognato di più".
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Angelo Carotenuto
Pietro Mennea
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